Luciana Sica, Freud si è tolto il camice bianco, PAESE SERA, 3 Giugno 1980
Ottavio Rosati: il problema dei selvaggi non è la laurea.
Gli analisti selvaggi imperversano. La gente li definisce giustamente una banda di cialtroni. Lei che ne pensa?
Secondo me il problema di chi lavora senza adeguata formazione e analisi personale, oggi non è più il solo. A far danno intervengono altri stupefacenti fenomeni, impensabili soltanto dieci anni fa. Il selvaggio spesso stenta il doppiopetto del piccolo industriale. Un libro che esprime il delirio allo stato puro della Verdiglione & Co. È stato appunto intitolato (suprema beffa!) “La psicanalisi questa mia avventura”. Il che è appunto da avventurieri.
Il pretore Cappelli ha dichiarato guerra ai selvaggi in un modo discutibile. Pretendendo la laurea in medicina. Che ne dice?
È un’idea non poco eccentrica. Il suo autore trascura il fatto che il carisma del camice bianco è quello delle macchiette di Sordi. Ben diverse da quelle dei medici sono le dottrine che un analista dovrebbe studiare: scienze umane, linguistica, filosofia della scienza…
Prescrivere la laurea in medicina come discriminante sarebbe come risolvere il problema della cattiva cucina prescrivendo la laurea in biologia.
Si fa una gran confusione tra psicanalisi psicoterapia. Qual è esattamente la distinzione?
La psicanalisi mira a una ristrutturazione completa della personalità. La pratica terapeutica prevede una frequenza regolare di sedute, senza una scadenza prefissata ne alcun fine particolare da raggiungere.
Ma allora che scopo ha una psicanalisi?
Far luce su quello che accade al paziente dentro e fuori il contesto analitico. Tutto questo, si capisce, secondo le convinzioni teoriche della scuola dell’analista, che sarà in ogni caso soprattutto se stesso. In una vera e propria analisi, l’eventuale scomparsa dei sintomi o l’attenuarsi della sofferenza andrebbero considerate come un sovrappiù.
Qual è, invece, il fine delle psicoterapie?
È l’ottenimento del maggior beneficio possibile per il comportamento e il benessere del paziente. Si fa un uso finalizzato del transfert e di una certa ‘gratificazione’ all’interno di contesti più flessibili.
Esistono comunque, vari tipi di psicoterapia.
Bisogna intanto distinguere tra psicoterapie dinamiche e psicoterapie psicanalitiche. Queste ultime fanno ricorso allo stesso schema teorico della psicanalisi ma adottano tecniche e contesti originali. Per esempio nello psicodramma psicoanalitico le comunicazioni del paziente vengono ‹‹lette›› ed elaborate attraverso il gioco drammatico.
Può spiegare in che cosa consiste?
Il gioco drammatico è la rappresentazione teatrale del racconto d’un paziente. Dalla parola si passa alla riproduzione scenica con l’aiuto dei compagni di gruppo ai quali si affidano i ruoli. Questo espediente può l’uso delle sue conseguenze, per esempio degli affetti che emergono. Ma esistono molti altri modelli di psicoterapie analitiche. È inutile dire che su queste diversità si versano fiumi d’inchiostro e ruscelli di sangue analitico.
Che cosa s’intende, invece, per psicoterapie dinamiche?
Psicoterapie non analitiche né in teoria né in pratica. Come per esempio quella intensiva della Fromm-Reichmann basata su una concezione interpersonale dello sviluppo psichico. Sono pure molto note le psicoterapie relazionali della famiglia, di origine americana. Per queste il sintomo del singolo paziente rimanda alla patologia della comunicazione nel suo gruppo di appartenenza. Per esempio, un marito fobico ci si chiederebbe che cosa la fobia gli permette di ottenere dalla moglie.
Antonio Attisani, Teatri e scrittura – Il futurismo del futurismo: teatri e letture, BURATTINI, Anno II, N.71, Marzo 1986
Ma la prima verifica a cui voglio sottoporlo è questa: voglio vedere se e come parla Jacob Levi Moreno. La curiosità mi viene dall’avere sott’occhi il primo volume del suo Manuale di Psicodramma – Il teatro come terapia appena uscito da Astrolabio (pp.498, lire 50.000) a cura di Ottavio Rosati. Ho appena iniziato a leggerlo, data la mole, per una gratitudine e una riflessione che avevo iniziato diversi anni fa, quando nel Teatro del Sole con Carlo Formigoni avevamo letto collettivamente e discusso Il teatro della spontaneità dello stesso Moreno ricavandone un grande slancio per il nostro lavoro.
Cosa c’entri lo psicodramma moreniano con il teatro sta a ognuno deciderlo. La mia convinzione è che si, costituisce un confronto ineludibile per chi fa teatro (per questo a suo tempo ho chiesto allo stesso Rosati di scrivere la voce Psicodramma per l’Enciclopedia del teatro del 900 da me curata per Feltrinelli). Comunque ci sono altri motivi validi per leggere Moreno. Moreno, ebreo rumeno nato nel 1889, arriva a Vienna da giovane per studiare filosofia e medicina. Qui conduce le sue prime esperienze di animazione con bambini, profughi e prostitute. Poi con il manifesto Invito a un incontro del 1914 e la fondazione del Teatro Improvvisato e del Giornale vivente nel 1921, Moreno inverte i ruoli tra palcoscenico e platea, contemporaneamente a Pirandello, e invita gli spettatori a mettere in scena prima la cronaca quotidiana della città e poi la loro realtà personale. Moreno è stato il primo a rivoluzionare la psicoanalisi, spostando la terapia dell’individuo verso l’intervento sul sistema sociale. Nel 1914. Dal 1925 alla sua morte, nel 1974, Moreno ha vissuto negli Stati Uniti e da lì il suo insegnamento si è diffuso in tutto il mondo, esportando anche un certo ottimismo pragmatico assorbito in quel paese. È indubbio comunque che la grande innovazione moreniana nasce in Vienna, e proprio nel clima culturale che l’esposizione del Beauburg si propone di mettere in luce. Sarà perciò un buon test verificare la presenza delle prime esperienze di psicodramma e di sociodramma sia nella mostra che nel voluminoso catalogo. Anche perché il materiale visivo (disegni, fotografie, film ce ne fossero) aiuta benissimo a situare quelle esperienze, a tendere la distanza che ci separa da esse per ricchezze d’informazioni. L’edizione italiana del Manuale di Psicodramma contiene un certo numero di fotografie e disegni che fanno sentire la mancanza di altro materiale iconografico. In alcuni di essi sembra di scorgere una situazione di lavoro e di rapporti perfettamente analoga a quella teatrale. Ecco: possiamo o no vedere la mostra di Parigi, il libro di Moreno è ora a portata di mano. Conviene leggerlo.
Luciana Sica, È di scena lo psicodramma, PAESE SERA, 20 aprile 1986
La traduzione italiana dell'opera di Jacob Levi Moreno, fondamentale in psicoterapia, sarà presentata domani al Piccolo Teatro di Milano.
Domani, il Piccolo Teatro di Milano dedicherà una serata alla presentazione di un classico della psicologia e della storia del teatro moderno: “Il Manuale di Psicodramma” (n.1) di Jacob Levi Moreno, pubblicato dalla casa editrice Astrolabio Ubaldini di Roma, nella traduzione e cura di Ottavio Rosati. Il “Manuale di Psicodramma” (in tre volumi) è l’opera rivoluzionaria con cui Moreno negli anni quaranta introduce il “gioco” e la rappresentazione scenica nel mondo della psicoterapia e riveste forse un’importanza paragonabile a quella de “L’interpretazione dei sogni” di Freud o de “Il lavoro dell’attore” di Stanislavsky.
Uscendo dall’ambito strettamente psicologico e terapeutico, le tecniche e le teorie dello psicodramma hanno influenzato più o meno direttamente il cinema e il teatro. E’ comunque indubbio che il lavoro di Moreno ha contribuito alla formazione di esperienze di teatro radicale come quelle del Living Theatre e di scuole di recitazione come quella di Strasberg. I termini e i metodi dello psicodramma sono penetrati persino nell’immaginario cinematografico attraverso vari soggetti holliwoodiani, a partire da “Spellbound” (“Io ti salverò”) di Alfred Hitchcock fino ai più recenti “Tootsie” e “Agnese di Dio”.
Lo psicodramma è il metodo di psicoterapia con cui Moreno a partire dagli anni venti, prima a Vienna poi a New York, invita a lavorare sulla psiche attraverso metodi attivi anziché tramite la sola analisi verbale del setting di Freud. Moreno dunque entra nella storia della psichiatria come inventore della psicoterapia di gruppo e per aver invitato i nostri tempi a trasportare il divano psicoanalitico sul palcoscenico: meno chiacchiere e meno silenzi e più azioni. Alla comunicazione puramente verbale delle libere associazioni di Freud si affianca così il lavoro teatrale basato sulla distribuzione dei ruoli, il linguaggio del corpo e perfino l’espressione dell’immagine attraverso la luce, la musica e il gioco.
La novità, nella Vienna del 1920, incontrò notevoli ostacoli non solo nel mondo della psichiatria tradizionale ma anche in quello del freudismo ancora nascente e particolarmente intransigente. Solo trent’anni dopo (comparsi sulla scena i metodi di gioco della Klein e Winnicott) il movimento psicoanalitico non avrebbe esitato a rivalutare e utilizzare l’invenzione di Moreno. Perché allora tanto ritardo nella pubblicazione italiana di questa opera che getta le basi di un metodo ampiamente applicato da anni non solo nella pratica privata ma anche nel lavoro istituzionale?
Tanto per fare un confronto con le altre correnti della psicoterapia contemporanea, non solo le opere complete di Freud e Jung, ma pure i testi sacri di Lacan e Bion o le pietre miliari di sistemi extra analitici come la psicoterapia sistemico-relazionale di Palo Alto o l’ipnoterapia di Milton Erickson sono ormai editi da tempo in Italia. E viene da chiedersi perché allora questo primo volume del “Manuale di Psicodramma” del 1945 appare solo oggi tardivamente festeggiato in una serie di otto incontri italiano come quello ospitato da Scaparro e Gullo al Teatro di Roma e quello voluto dal sindaco Tognoli al Piccolo. Questo ritardo è tanto più sconcertante di fronte alla quantità di libri di allievi di Moreno (Schutzenberger o Yablonsky) e di allievi (come Anzieu o Lemoine) che da anni hanno concorso alla formazione di una vera e propria ricerca italiana nel campo dello psicodramma. Di cui sono esempi la pubblicazione di una rivista scientifica “Atti dello psicodramma” per i tipi di Astrolabio, oltre che una crescente applicazione dello psicodramma nell’ambito della terapia della tossicodipendenza. Fatto sta che le idee e le tecniche descritte nel libro cui il Piccolo Teatro di Milano dedica la sua serata a sessant’anni dalla loro formulazione mantengono una carica innovativa e un rilievo sociologico e ideologico oltre che puramente tecnico. Con Moreno infatti il rapporto duale della coppia analitica si allarga al pubblico e all’incontro del gruppo nel teatro di psicodramma o sul campo della sua vita quotidiana. Alla tradizionale interpretazione dei sogni di Freud (basata sul racconto del paziente e sul commento dell’analista) Moreno contrappone un’interpretazione in senso teatrale. Cioè la loro messa in scena con una compagnia di attori, tra realtà e immaginazione. Inoltre, alla concezione riduttiva e deterministica della psiche tuttora cara allo psicoanalista freudiano, lo psicodramma affiancava e in certi casi opponeva un’alternativa più probabilistica forse imparentabile al relativismo di Jung e Jaspers. Vale a dire che nel “teatro della spontaneità”, una volta concluso il gioco dei ruoli del protagonista, spetta al pubblico far precedere una serie di echi, e alle interpretazioni “professionali” del direttore. Ed è forse possibile apprezzare appieno la carica rivoluzionaria di questa teoria “aperta” della verità psicologica solo oggi che in filosofia assistiamo a una rivalutazione delle “teorie della complessità” rispetto ai grandi impianti totalitari di pensiero “chiuso”.
L’incontro del Piccolo Teatro coordinato da Ottavio Rosati sarà aperto da Fernanda Pivano che da americanista ricostruirà l’influenza del lavoro di Moreno a New York sulle scuole di recitazione di Lee Strasberg, il Group Theatre e l’Actors’s studio. Roberto De Monticelli, critico teatrale del “Corriere della Sera” parlerà del controverso problema secondo il quale l’invenzione dello psicodramma a partire dai “Sei personaggi in cerca d’autore” avrebbe in qualche modo influenzato l’opera di Pirandello e in particolare la trilogia del “teatro nel teatro”. La tesi sostenuta da De Monticelli è che in realtà, come nel caso di Freud e Schnitzler, quelli di Moreno e Pirandello abbiano costituito due percorsi analoghi e sincroni ma assolutamente indipendenti. Prenderanno pure parte alla presentazione alcuni ricercatori nel campo della gruppo-analisi e della psicoterapia di gruppo tra cui Giovanni Boria, Eugenio Gaburri, Diego Napolitani, Mirella Novelli, Enzo Spaltro, Ferdinando Vanni e Luigi Zoja presidente della Società Milanese di Psicologia Analitica.
Pure prevista ma in forse, la partecipazione di Cesare Musatti con i suoi tipici e al tempo stesso imprevedibili fuori programma.
"La verità è," scrive Musatti "che tutta la psicoanalisi è uno psicodramma. Quando mi dicono che ho delle qualità di attore..bè non è che io le abbia, ma certo mi piace recitare. Ma questo gusto mi viene da una certa vocazione all’identificazione con le situazioni altrui." La citazione è tratta da una lunga intervista di Ottavio Rosati “Sull’attore e lo psicoanalista” apparsa sul n. 8 della rivista “Atti dello psicodramma” pure edita da Astrolabio. Vi scopriamo un vecchio peccato di gioventù del decano della psicoanalisi italiana.
Negli anni Cinquanta Musatti trasgredì alla canonica immobilità del lettino psicoanalitico e azzardò alcuni esperimenti di psicodramma in compagnia di Franco Fornari: "L’unica volta in vita mia che ho creduto mi venisse un infarto. Mi investii della parte in maniera terribile. Dovevo fare il ruolo del padre cattivo e i miei colleghi che assistevano si spaventarono perché mi alteravo, battevo il pugno sul tavolo gridando 'il padrone sono io!'. Capisce?"