Esistono diverse definizioni del termine catarsi nell’ambito letterario, teatrale e psichiatrico. La prima di queste definizioni, la troviamo andando molto indietro nel tempo in Grecia. Aristotele nella “Poetica” descrive la Catarsi come l’effetto purificatore dei personaggi in scena sullo spettatore che la segue dalla platea. Secondo Jacob Levi Moreno, la Catarsi consiste nell’azione del paziente che va in scena come attore-autore di sé stesso. Così il padre dello psicodramma introduce nel mondo del teatro e della psicoterapia un nuovo ruolo professionale. I registi terapeutici, anziché esprimere le loro opere, si dedicano a un tipo di teatro che cura le persone.
Moreno, medico olistico dell’anima, non si ritiene un inventore ma uno scopritore della funzione terapeutica della catarsi in psicodramma. Dagli anni venti in Vienna, la Psico-Catarsi affianca la Spontaneità e incoraggia l’azione del protagonista della psicoterapia di gruppo. Invece l’attore professionista potrebbe soffrire di una “nevrosi istrionica” che gli impedisce di trovare il vero senso della sua vita.
La catarsi nello psicodramma non si limita allo sfogo della sofferenza e dell’agito di un’emozione libera e incontrollata. Va oltre l’abreazione dei sentimenti repressi ma culmina nella creazione di nuovi immagini e incontri che liberano l’esistenza del paziente. Il soggetto protagonista del gioco, con l’aiuto del gruppo, esce dal vecchio contesto e dai vecchi ruoli. Si ritrova così in un mondo più libero e ampio, senza costrizioni interne ed esterne. In questo modo egli assume nuovi ruoli e impara a trasformare la sua rete di rapporti. Il paziente elabora nuovi strumenti e si sente in grado di affrontare di nuovo la vita con una consapevolezza maggiore.
In sintesi, la catarsi inizia nel momento in cui il paziente mette in scena i suoi ‘personaggi in cerca d’autore’. E culmina nel momento in cui opera la svolta cruciale del suo destino (peripeteia).
[Ottavio Rosati]